 
                                                                                                      
                   
                Talvolta anche noi che amiamo il presepe e
                ce lo raffiguriamo tutti i giorni, portandocelo nel cuore, ci
                sentiamo un po’ freddi di fronte ad una rappresentazione della
                Natività e ci chiediamo se questo dipenda da un’incapacità
                dell’artigiano – in qualche caso dell’artista - a
                rappresentare l’evento che ha unito il cielo e la terra o non
                piuttosto ad una nostra disposizione d’animo che in quel
                momento c’impedisce di entrare e, ancora una volta, di
                stupirci di fronte al mistero del Natale. È opinione concorde
                fra gli appassionati, che una certa capacità artistica
                nell’esecuzione del presepe possa facilitare, certo, la
                contemplazione del mistero, ma che a tale scopo la disposizione
                d’animo sia l’aspetto più importante. Ecco perché
                desideriamo oggi farci guidare da un maestro di spiritualità
                che ha amato molto il presepe e in particolare il Bambinello.
                Parliamo di san Josemaría Escrivá (Barbastro, Spagna 1928 -
                Roma 1975), fondatore dell’Opus Dei, istituzione della Chiesa
                Cattolica che aiuta a trovare Dio nel lavoro e
                nell’adempimento dei doveri familiari, ad entrare in rapporto
                con Lui e a portarLo agli altri. San Josemaría, canonizzato a
                Roma nel 2002 da Giovanni Paolo II, pronunciò delle splendide
                omelie sul Natale, raccolte in uno dei suoi due libri di omelie:
                É Gesù che passa (Edizioni Ares, Milano www.ares.mi.it
                ). Attingendo a questa fonte egli ci prenderà per mano e ci
                aiuterà, ci auguriamo, ad inginocchiarci anche noi, come
                bambini,  e a posare una pecorella in mezzo al muschio, immaginando così
                di entrare a far parte della Scena. Certo, occorre farsi piccoli
                e questo può sembrare difficile, ma siamo incoraggiati a farlo
                dal più autorevole dei consigli: “Chiunque diventerà piccolo
                come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (Mt,
                18,4).”
                 
    
                “Quando giunge il tempo natalizio mi
                piace contemplare le immagini di Gesù Bambino. Quelle figure
                che rappresentano il Signore nel suo annientamento mi ricordano
                che Dio ci chiama, che l'Onnipotente ha voluto presentarsi a noi
                indifeso e come bisognoso degli uomini. Dalla culla di Betlemme
                Gesù dice a me e a te che ha bisogno di noi; ci sollecita a una
                vita cristiana senza compromessi, a una vita di donazione, di
                lavoro, di gioia.
                
                Non raggiungeremo mai la vera serenità se non imitiamo davvero
                Gesù Cristo, se non lo seguiamo nell'umiltà. Avete visto dove
                si nasconde la grandezza di Dio? In una mangiatoia, con le fasce
                di un neonato, dentro una grotta. La forza redentrice della
                nostra vita sarà efficace pertanto solo se c'è umiltà, solo
                quando smetteremo di pensare a noi stessi e sentiremo la
                responsabilità di aiutare gli altri.
                
                Cristo fu umile di cuore. In tutta la sua vita non volle per sé
                nulla di singolare, nessun privilegio. La sua esistenza umana ha
                inizio nel seno di sua Madre, ove permane nove mesi come ogni
                altro mortale, nel modo più naturale. Ben sapeva il Signore
                quale estremo bisogno avesse di Lui l'umanità, e ardente era la
                sua ansia di scendere sulla terra per la salvezza di tutte le
                anime: eppure ogni cosa segue il suo corso. Egli nacque quando
                giunse il suo momento, come ogni altro uomo sulla terra. Dal
                concepimento alla nascita, nessuno — tranne Giuseppe ed
                Elisabetta — si rende conto del prodigio: Dio viene a porre la
                sua dimora tra gli uomini. (Il trionfo di Cristo nell’umiltà,
                É Gesù che passa, n. 18)
                
                
                “Et Verbum caro factum est” ci dice san
                Giovanni nel prologo del suo Vangelo: il Verbo, la Seconda
                Persona della Santissima Trinità, il Logos, la parola e il
                pensiero stesso di Dio ha assunto la nostra natura prendendo la
                nostra stessa carne, facendosi uomo, bambino, come ciascuno di
                noi. Ma allora se la Sua carne è come la mia carne, la mia
                carne, che pure spesso mi trascina verso il basso, non è
                cattiva. Se le sue mani sono come le mie mani, che così
                frequentemente si sporcano da doverle lavare prima di ogni
                pasto, le mie mani non sono solo sporcizia, ma possono fare cose
                grandi, cose divine, operae Dei. Se Dio stesso ha assunto la
                natura umana non è assurdo pensare che tutto quello che è
                umano può essere divino, se fatto in unione con Lui. Altro che
                bassezze! Altro che miserie umane! Le abbiamo certo ma, grazie a
                Dio, possiamo farne un opera Sua. Et Verbum caro factum est: Dio
                è uomo. L’uomo può essere Dio… se scopre il valore
                dell’umiltà.
                
                
                
                ”Il Natale di Gesù è soffuso di ammirevole semplicità: il
                Signore viene senza risonanza, sconosciuto a tutti. Qui in
                terra, soltanto Maria e Giuseppe partecipano a questa avventura
                divina. Poi i pastori, ai quali gli angeli recano l'annunzio. E,
                più tardi, quei saggi dell'Oriente. È così che ha compimento
                l'evento trascendente che unisce il cielo alla terra, Dio
                all'uomo.
                
                È mai possibile tanta insensibilità di cuore al punto di
                abituarsi a queste scene? Dio viene nell'umiltà perché ci sia
                possibile avvicinarlo, perché ci sia possibile corrispondere al
                suo amore con il nostro amore, perché la nostra libertà si
                arrenda non più soltanto alla manifestazione della sua potenza,
                ma anche allo splendore della sua umiltà.
                
                Ineffabile grandezza di un bambino che è Dio! Suo Padre è il
                Dio che ha fatto i cieli e la terra, eppure Egli è lì, in una
                mangiatoia, quia non erat eis locus in diversorio (Lc 2,7),
                perché non c'era altro posto sulla terra per il Signore di
                tutto il creato.” (op. cit., n. 18)
                 
                
                
                
                “Quando parlo davanti al presepio, cerco
                sempre di immaginarmi Gesù nostro Signore proprio così,
                avvolto in fasce e adagiato sulla paglia di una mangiatoia; ma
                al tempo stesso cerco di vederlo, mentre è ancora bambino e non
                parla, come Dottore e Maestro. Ho bisogno di considerarlo in
                questo modo, perché devo imparare da Lui. Per imparare da Lui
                è necessario conoscere la sua vita; è necessario leggere il
                santo Vangelo e meditare le scene del Nuovo Testamento per
                addentrarci nel senso divino dell'esistenza terrena di Gesù.
                
                Dobbiamo infatti riprodurre la vita di Cristo nella nostra vita.
                Ma ciò non è possibile se non attraverso la conoscenza di
                Cristo che si acquista leggendo e rileggendo la Sacra Scrittura
                e meditandola assiduamente nell'orazione, così come facciamo
                ora, davanti al presepio. Bisogna capire gli insegnamenti che
                Gesù ci dà fin dall'infanzia, fin da neonato, fin dal momento
                in cui i suoi occhi si sono aperti su questa benedetta terra
                degli uomini.
                
                Gesù, che cresce e vive come uno di noi, ci rivela che
                l'esistenza umana, con le sue situazioni più semplici e più
                comuni, ha un senso divino. Benché abbiamo considerato tante
                volte questa verità, ci deve pur sempre riempire di ammirazione
                la considerazione di quei trent'anni di oscurità che
                costituiscono la maggior parte del tempo che Gesù ha trascorso
                tra gli uomini suoi fratelli. Anni oscuri, ma per noi luminosi
                come la luce del sole. Sono, anzi, lo splendore che illumina i
                nostri giorni, che dà ad essi il loro autentico significato:
                perché altro non siamo che comuni fedeli che conducono una vita
                in tutto uguale a quella di tanti milioni di persone dei più
                diversi luoghi della terra.
                
                Per sei lustri Gesù non fu che questo: fabri filius, il
                figlio dell'artigiano. Quando poi vengono i tre anni di vita
                pubblica e l'osanna delle folle, la gente si stupisce: chi è
                costui e dove ha appreso tante cose? Perché la sua vita era
                stata la vita comune della gente della sua terra. Egli stesso
                era noto come faber, filius Mariae, l'artigiano, figlio
                di Maria. Ed era Dio, e veniva a compiere la Redenzione del
                genere umano, ad attirare a sé tutte le cose.” (op.
                cit., n. 14)
                 
                
                
                
                Eppure di fronte a queste realtà così
                belle, la mente si ribella, la nostra intelligenza, abituata a
                guardare, a osservare ciò che si può toccare, fa fatica ad
                accettare tanta grandiosità ed è tentata di pensare che tutto
                questo è troppo bello per essere vero. Sentiamo allora cosa ci
                consiglia san Josemaría:
                 
                
                
                
                “Dobbiamo contemplare Gesù Bambino,
                nostro Amore, nella culla. Dobbiamo contemplarlo consapevoli di
                essere di fronte a un mistero. È necessario accettare il
                mistero con un atto di fede; solo allora sarà possibile
                approfondirne il contenuto, guidati sempre dalla fede. Abbiamo
                bisogno, pertanto, delle disposizioni di umiltà proprie
                dell'anima cristiana. Non vogliate ridurre la grandezza di Dio
                ai nostri poveri concetti, alle nostre umane spiegazioni;
                cercate piuttosto di capire che, nella sua oscurità, questo
                mistero è luce che guida la vita degli uomini.” (op. cit., n.
                13)
                 
                
                
                
                “Lux fulgebit hodie super nos, quia
                natus est nobis Dominus: oggi splenderà la luce su di noi,
                perché ci è nato il Signore. Ecco il grande annuncio che
                commuove in questo giorno i cristiani e che, per loro mezzo,
                viene rivolto a tutta l'umanità. Dio è in mezzo a noi. È
                questa la verità che appaga la nostra vita. Ogni Natale deve
                essere per noi un nuovo e peculiare incontro con Dio, in modo
                tale che la sua luce e la sua grazia entrino fino in fondo nella
                nostra anima.” (op. cit., n. 12)
                 
                
                
                
                “Ci” è nato: proprio così. È nato
                per noi, per ciascuno di  noi,
                è questo l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Oggi vi
                è nato nella città di Davide, un salvatore, che è il cristo
                Signore” (Lc 2,11). È nato per noi, non per il Re Erode, ma
                per i Re Magi, per i pastori, ma anche per i pescatori. E anche
                oggi cerca dimora nel nostro cuore, anche se corre il rischio di
                non trovarlo, come allora non lo trovò nell’albergo. E anche
                oggi, se lo trova, è in grado di trasformare i pescatori in
                apostoli, noi poveri esseri di carne in anime chiamate a vivere
                sulla terra la bellezza e la ricchezza dei beni del cielo.
                
                Ecco, ci siamo fatti accompagnare da un maestro – un papà -
                che ci ha spiegato un po’ il senso del presepe, il suo
                significato più profondo e se per caso ci siamo sorpresi
                davvero a contemplare la scena della Natività, come se fossimo
                presenti anche noi e questo ci sembra un 
                po’ strano, sentiamo cosa ci direbbe san Josemaría:
                 
                
                
                
                “Devozione del Natale. —Non sorrido nel
                vederti comporre le montagne di sughero del presepio e collocare
                le ingenue figure di creta intorno alla grotta. —Non mi sei
                mai apparso tanto uomo come in questo momento, in cui sembri un
                bambino.” (Cammino, punto 557)
                 
                