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Anno 1 - n.2 - Marzo 2000

   

  IL PASTORE NAPOLETANO DEL'700 NEI MUSEI DEL MONDO 

 

na ricchissima letteratura, generosa per numero dei testi ed importanza degli Autori, ci consegna le origini, l'evoluzione, nonché le trasformazioni "ex novo", operate all'interno della tradizione napoletana del Presepe, che ha conosciuto il suo massimo splendore nel periodo che va dal tardo Barocco (di cui non perderà mai completamente le radici), cioè dalla fine del Seicento, fino ai primissimi decenni del diciannovesimo secolo. L'impegno degli artisti, la fatica degli artigiani che contribuirono a tale produzione sono abbondantemente testimoniate in quelle pagine di Storia, spesso scritta in maniera disgiunta e solo raramente con opinioni concordanti.
"Pazzia collettiva della Napoli di quel tempo", gioco di Società, "divertissement", con il quale, nella Napoli settecentesca, in una Società frivola e "cicisbea", decadenti aristocratici ed emergenti borghesi deliziavano le loro annoiate ed oziose giornate, ben lungi dal solo immaginare gli orrori che si sarebbero succeduti con la Rivoluzione Francese. Più vicina alla realtà, invece, la definizione di "Fenomeno altalenante fra la Storia dell'Arte e quella del Costume", come ebbe a ricordare Franz Von Lobstein in un suo scritto. Più vicina, dicevo, ma ben lontana dal solo rendere l'idea di quella Napoli Borbone "Moderna e illuminata", unica vera capitale d'Italia, della quale, solo qualche decennio più tardi, a chi gliene chiedeva notizie, Wolfgang Ghoete rispondeva: "Napoli? E' Parigi! Le altre, solo delle piccole Lione! Nel 1752 il Vanvitelli, scrivendo al fratello Urbano, definiva la costruzione del Presepe "una ragazzata", nonostante ben conoscesse il fatto che a tale attività si dedicassero scenografi, pittori, argentieri, sarti, liutai e, secondo quanto "certificato" da eminenti studiosi, grandi scultori che provvedevano a modellare i Pastori. Una scuola, invero, sicuramente fiorente, se si pensa che vi sono pezzi attribuiti a Lorenzo Vaccaro, Matteo Bottiglieri, Felice Bottiglieri, Angelo Viva, fino a Giuseppe Sanmartino, delicato creatore del suggestivo "Cristo velato", custodito nella cappella San Severo in Napoli. L'architetto olandese nato a Napoli (affermazione in questa occasione sicuramente giustificata), trovò, forse, un suo preciso limite proprio nella grandezza delle sue Opere: dall'alto dei suoi Palazzi, dei suoi Ponti e dei suoi Acquedotti non riuscì a vedere ( o forse finse di non vedere, poiché nella stessa sede ed in altre alla fine "assolse" il Presepe) la Vera Arte in una cosa piccola (ma non piccola cosa) come la rappresentazione della Natività. In verità ai non napoletani riusciva di non facile comprensione il discorso del Mistero natalizio così come raccontato dal Presepe. Il cammino che l'uomo percorre e la sua meta finale non sono sicuramente oggetto dell'arte così come era intesa in quel periodo. Essa, infatti, era la rappresentazione del " Vero", ma di un "Vero" bello a tutti i costi, ben lontano dal " Falso" del corteo degli Orientali ( assenti nel racconto biblico, dove, addirittura non viene indicato il numero dei Magi), almeno quanto dal "Vero" dei "pezzenti" delle "Accademie", anch'essi falsi, poiché più belli e meno maleodoranti di quelli che normalmente circolavano per le strade della Città. L'insieme di questi "bianchi e neri" (codici rigorosamente barocchi), mai assolutamente bianchi e mai "disperatamente" neri, fa sì che il Presepe napoletano, partendo da questi due semplici colori, si inerpichi sulla difficile strada della ricerca dei toni intermedi, alla guisa dei maggiori e più importanti esempi dell'arte barocca, senza però perdersi negli eccessi sovrastrutturali che limitarono la produzione di quella scuola.
Da essa, però, la separazione risultò netta rispetto ai Contenuti, che anticipano, con felici intuizioni, quelli che sarebbero stati temi propri del Romanticismo.Va detto per altro, che i contenuti, non influenzano minimamente il giudizio dell'osservatore, che apprezzerà sempre il prodotto artistico finale del Presepe partendo dal suo personale punto di vista (qualunque esso sia) e dalla sua cultura. A questo punto appare necessaria una digressione su quelli che furono i temi letterari e pittorici (questi ultimi più vicini alla tematica da affrontare) ai quali si ispirò e, soprattutto, quelli che la corrente artistica propria del nostro Presepe anticipò.