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Anno 6 - n.3 - Settembre - Dicembre 2006
 
 

DIALOGO CON I LETTORI

 

     
 

DIALOGO CON I LETTORI

Inchiesta sul presepe
Seconda conversazione con Italo Sarcone

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Perché la chiesa ha accettato che nel presepe fossero inseriti dei particolari tratti dai Vangeli apocrifi?
“Non l'ha propriamente accettato, quanto, piuttosto, ne ha preso atto, con quello stesso processo di sincretismo per il quale leggende pagane sono state rivisitate in chiave cristiana. In realtà ancora oggi alcuni esponenti del clero guardano dubbiosamente alla presenza di personaggi non “canonici” sul presepe.
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C'è un motivo per cui alcune date sono tradizionalmente dedicate alla rimozione del presepe?
"Le date tradizionali corrispondono alle feste di alcuni santi "vecchi", i Re Magi (6 gennaio), S. Antonio Abate (17 gennaio), S. Biagio (3 febbraio); anche per quanto riguarda il 2 febbraio, festa della Purificazione, possiamo notare, nel racconto evangelico della presentazione di Gesú al Tempio, la presenza del santo vecchio Simeone. Il motivo di questo fatto sta proprio in quel processo di sincretismo di cui parlavamo prima; il presepe, nel raccontare l’evento della nascita di Gesú, riprende anche il motivo tradizionale del ritmo circolare, in cui le stagioni si succedono e l'anno vecchio cede di fronte all'anno nuovo. In altre parole si riconferma quello che abbiamo tante volte detto, che il presepe è un fatto cristiano il quale ha inglobato e fuso in sé elementi provenienti dalle piú diverse parti. E forse il suo fascino consiste appunto in questa compresenza che garantisce, in modo significativo, la sua universalità".
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Ernesto De Martino parla del meridione come di "terra del rimorso", cioè di "terra del cattivo passato che torna e opprime col suo rigurgito" e in varie sue opere dimostra che le pratiche rituali servono a scongiurare le ansie di un'esistenza precaria; crede che il presepe potrebbe in qualche modo rientrare nell'ambito di questi rituali?
"Il richiamo a De Martino è quanto mai pertinente. Questo autore, che ha il merito di aver fatto l'antropologo "a casa sua", e non presso i cosiddetti “selvaggi”, e di avere dimostrato che anche il mondo contadino ha una sua “storia” (contro chi ne teorizzava la astoricità), vedeva in certi rituali il superamento di momenti di crisi nei quali si corre il rischio della perdita di sé: la festività ha la funzione di cooperare al superamento del momento della crisi, ritualizzando il dolore, ciò che significa limitarne le manifestazioni e circoscriverle in periodi ben precisi; per esempio il 2 novembre, i riti funebri del trigesimo, dell'anniversario, ecc… servono a ripetere e a superare il lutto.
La danza dei tarantati serve a rivivere l’evento in cui il “malato” ha subito il primo morso (simbolico) del ragno e a scongiurarne gli effetti; tra l'uno e l'altro di questi momenti rituali, in cui è permesso abbandonarsi al dolore, alla frenesia, al “rimorso”, si stende il cosiddetto “tempo salvato”, cioè recuperato alla vita operosa della collettività. Poiché all’allestimento del presepe è sottesa la paura per il rischio, che il mondo intero corre, di una vittoria delle Tenebre sulla Luce, anche questa pratica affascinante costituisce un vero e proprio rituale salvifico. Abbiamo spesso spiegato che il presepe non coinvolge l’intera famiglia solo nella fase dell’allestimento, ma diventa, per tutto il periodo natalizio, il centro di riti che tengono unito il gruppo familiare: deporre il Bimbo nella mangiatoia la notte di natale, fare avvicinare un po’ alla volta i Re Magi alla grotta della Natività, farli smontare da cavallo il giorno dell’Epifania perché presentino i doni al Bimbo Divino, sono momenti di aggregazione e commozione. Anche lo smantellamento risponde a questi principi. Una volta, c’era anche la tradizione di togliere dalla grotta i tre personaggi principali, il Bambino, la Madonna e San Giuseppe, la sera dell’Epifania, e al loro posto porre le figure delle Anime Purganti. In questo caso il presepe restava in casa fino al 2 febbraio.
Tra lo smantellamento di un presepe e l'approntamento di uno nuovo, eventi che avvengono nel corso dello stesso anno, al principio e alla fine di esso, si stende il tempo salvato, come l’abbiamo definito in omaggio a Ernesto De Martino."
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Che senso può avere oggi, in una società ormai dimentica delle proprie radici contadine, accendere il fuoco nelle notti di S. Antonio o S. Giovanni? Si tratta anche qui di rituali per stornare le angosce?
"In realtà i fuochi di S. Antonio rinviano sia al nuovo vigore che il Sole acquista, dopo avere corso il rischio dell’estinzione, dall’equinozio di autunno al solstizio d’inverno, sia al rimedio contro l' herpes zoster, non a caso chiamato "fuoco di S. Antonio". Analogamente, il fuoco di S. Giovanni è acceso in prossimità del solstizio d'estate, quando, seppur impercettibilmente, le giornate cominciano a diventare piú corte. È chiaro che nella nostra società industrializzata, grazie anche alla corrente elettrica (della quale non ci sogniamo neanche di mettere in dubbio l'utilità), l'angoscia per il
"venir meno"del Sole non esiste piú. Credo tuttavia che mantenere in vita questi rituali può, comunque, avere il significato di ricordare un modo di vivere piú in sintonia con la natura, forse piú giusto, e di non recidere le proprie radici. Un modo per non essere “sradicati”, insomma."
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D. Buzzati nel suo racconto "tecnica del presepio" sosteneva, provocatoriamente, che costruire il presepe "non è impresa per la mamma, questa, poiché richiede capacità tecnica, organizzativa, ingegnosità e slancio di fantasia, doti precipuamente maschili".
Condivide l'affermazione?

"Devo confessare un certo disappunto, poiché, fra tutto quello che ho letto di Buzzati, che è uno dei miei scrittori prediletti, mi è sfuggito proprio questo racconto. Tuttavia condivido la sua affermazione, ma non perché io neghi alle donne tutte quelle qualità che giustamente Buzzati ritiene necessarie per l’impresa: dai tempi della mia gioventú ad oggi, credo che le donne abbiano davvero dimostrato di possederle in tutti i campi dell’umana attività. Condivido l’affermazione solo perché non mi è mai capitato di vedere una donna costruire il presepe. Mi sembra anzi di avere notato nelle donne l’atteggiamento che Eduardo De Filippo attribuisce a Concetta, in Natale in casa Cupiello: la donna è un po’ infastidita, contrariata, dal disordine che in casa si crea per le operazioni di allestimento del presepe. Anche quando collabora, lo fa con quel tanto di condiscendenza che si userebbe con i bambini capricciosi. Ho l’impressione, cioè, che le nostre donne si adattino a tollerare questa nostra mania, ritenendola, tutto sommato, innocua: come se pensassero: in fondo c’è di peggio e le cervella non devono soffrire (come si dice a Napoli). Posso sbagliarmi e l’impressione potrebbe essere dovuta alla mia limitata esperienza. Mi piacerebbe conoscere il parere delle lettrici".
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È la semplicità di un tempo che trasforma un presepe povero e filologicamente inesatto a renderlo un piccolo capolavoro, vivo. È d'accordo con questa affermazione di Buzzati?
"Preferisco i presepi filologicamente esatti, cioè conformi alla tradizione, nella quale si possono tuttavia inserire i propri gusti, i propri sentimenti, le proprie personali esperienze."
- Non è contraddittorio festeggiare il Natale per chi appoggia la guerra?
"Credo che, nel caso della guerra, occorra distinguere, poiché essa non può essere rifiutata a priori, dal momento che fa parte della storia umana. Tuttavia, oggi abbiamo una consapevolezza (e penso che ormai non ci sia nessuno che, in piena onestà intellettuale, non abbia questa consapevolezza): cioè che la guerra moderna è un atto di imperialismo economico e culturale, per cui pronunciarsi per la guerra dovrebbe essere avvertito come in stridente contraddizione con ogni sentimento di vera religiosità, di semplice umanità, in definitiva".

Carmela Pisaniello