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Anno 5 - n.4 - Aprile 2005
 
 

CHARON 

CHARON

(seconda parte: continua dal numero di febbraio 2005)

 

     
Come?
Il Mysterium coniunctionis?
Nel Tabernacolo del Purgatorio?

E perché no?
Non sono forse tutti i simboli un unico simbolo?
E ciò che sta in basso non è forse come ciò che sta in alto?
O non vi sono ancora chiare le leggi della polarità e della analogia?

Gli Antichi, in una preghiera, distinguevano tre parti esenziali.

L'epíklesis
L'ómphalos
L'eukhé

Ovvero:
La solenne proclamazione degli attributi che contraddistinguono la persona cui la preghiera è rivolta
I motivi che obbligano il destinatario della preghiera ad esaudire il supplice
La richiesta vera e propria che a questo punto, debitamente introdotta, può avere la pretesa di essere esaudita

Un bell'esempio classico, nel I libro dell'Iliade:
Crise agli Achei e ad Apollo.

L'invocazione dei mendicanti napoletani contiene in pratica i tre elementi della preghiera classica.

Essa infatti

Nel rivolgersi ai passanti in nome delle Anime Purganti, richiama alla memoria il carattere effimero dell'esistenza umana

Si appella alla solidarietà che ci lega tutti, tra uomini viventi e con chi ci ha preceduto sull'amaro sentiero del vivere

Esorta a compiere un gesto che giova allo stesso tempo al povero che chiede e alle Anime buone che attendono

Così la moneta che cade nella mano di un cieco è una goccia di fresca rugiada che stilla laggiú nelle fiamme d'Averno e una voluta d'incenso che soave ascende al cielo.

La croce a tre dimensioni
Come le cattedrali del Medioevo
Come i tre guna della tradizioni indú
rajas 
sattwa 
tamas
Le sei direzioni dello spazio
I sette punti cardinali
Le tre dimensioni dell'amore di Cristo

Nell'invocazione del mendico napoletano balena d'un colpo la visione dell'intero universo, per un attimo fulgido squarciando il velo di Maia.

Perciò l'obolo al mendico non va mai rifiutato.
E del resto, mendicanti lo siamo un po' tutti.

ILLVC VNDE NEGANT REDIRE QVEMQVAM
C'è un fiume dalle tristi riviere laggiú, che solo agli dei o ai figli di dei è dato traversare due volte.
Oppure a chi nella selva ha trovato con il favore di un dio un aureo ramo da portare in dono alla Signora dell'Ade.
Oppure a chi possiede la magica forza del canto.
A questi è dato accostarsi agli dei tremendi nesciaque humanis precibus mansuescere corda e poi ritornare alle aure vitali del giorno.

Ma talvolta anche agli dei fu doloroso il passaggio.
Tre giorni e tre notti rimase prigioniera dell'Ade Ishtar, benché dea.
Nudo cadavere appeso ad un palo.

A chi giunge, novello abitatore, il nocchiero della livida palude chiede la moneta per consentire il tragitto.
E poca cosa, la piú piccola delle monete, un obolo appena.
Ma guai a non averla.
Si dovrà vagare in eterno, senza potere attraversare il fiume, senza potere tornare indietro.
Senza potere trovare la pace.

Un giorno non avrò piú forza nel corpo e negli occhi non avrò piú luce.
Né sogni nel cuore. 
Né piú canti di maga nella voce. 
Allora scenderò anch'io laggiú e mi fermerò sulla triste riviera.
E Caronte mi chiederà che gli paghi il pedaggio.
Dopo lo sperpero che ho fatto di me, dopo aver tanto dilapidato della mia vita, avrò ancora una moneta per me, per pagarmi il passaggio?
Fratello Lettore, se mi incontri quel giorno, e riconosci la mia voce in quella di un mendico che ti stende la mano, non negarmi una moneta per passare la riva e trovare la pace.

Arrefisc'all'anima e' tutte e' muorte vuoste 

(da: Italo Sarcone, In Limine, Napoli, SEN 1987, p. 97-104)