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Anno 5 - n.3 - Marzo 2005
 
 

 Dialogo con i lettori

La crudeltà nei confronti degli animali 

     


     "Ciao, sono Lidia Iannelli. M'interesserebbe, un giorno, se e quando tu dovessi averne voglia, ricevere un tuo parere sulle seguenti riflessioni che sono diventate l'interesse centrale della mia vita.
Voglio partire dalla simbologia del presepe che trovai suggestiva quando me ne parlasti anni fa: la discesa dei personaggi dall'alto delle montagne giù giù fin nel profondo della grotta.
Ebbene, io trovo che noi dobbiamo andare nel fondo della nostra coscienza e scoprire chi siamo. Capiremmo così che, anche quello che ci sembra il vivere civile, quando non ci sono guerre, è costruito sull'orrore e su una barbarie inimmaginabile, di cui, ed è questo il grave, non abbiamo consapevolezza o che, peggio, ci lascia indifferenti: il martirio quotidiano di milioni di animali.
Trovo che questa crudeltà legittimata ci mantiene ancorati all'aggressività e ci impedisce ogni evoluzione e progresso spirituale: per cui, noi facciamo pseudocultura, pseudoarte, pseudoreligione. C'illudiamo di andare lontano, ma restiamo nella barbarie, come il criceto che nella gabbia corre all'impazzata sulla ruota girevole ... Saluti.
Lidia"


      Per la verità, l'amica Lidia mi aveva inviato questa domanda sulla mia posta elettronica, fin dal 19 gennaio; si trattava quindi di una lettera privata. Sono tuttavia certo che Lidia non si dispiacerà se ne faccio oggetto di pubblica discussione sulla nostra rivista, poiché sa bene che, per quanto mi riguarda, sono assolutamente d'accordo. La crudeltà nei confronti degli animali è solo un aspetto di quel fondamento barbarico della nostra natura che la civiltà riesce soltanto a velare e che ogni tanto (o molto spesso) fa capolino nel nostro comportamento quotidiano. L'amore per gli animali, o quanto meno il rispetto nei loro confronti, non è estraneo alla cura con cui si allestisce il presepe. Più volte ho scritto su queste pagine che il presepe vive anche dell'attenzione verso la Natura, figlia primogenita di Dio, della quale l'uomo rappresenta la punta di eccellenza, in quanto dotato di pensiero, e quindi del potere, del sapere e del volere (posse, nosse, velle, si dice in latino) i quali, come dice Sant'Agostino, fanno di lui l'immagine della Trinità. Ma l'uomo è pur sempre un essere che della Natura fa parte, per cui, a volere usare un'immagine, la violenza che l'uomo sta perpetrando nei confronti della Natura, facendo scomparire intere specie animali e vegetali, è simile al gesto di colui il quale, stimando del proprio corpo solo la testa, si recidesse un po' alla volta gli altri arti.
Non è un caso che il primo presepe (inteso come rappresentazione rituale della Natività) sia stato, secondo la tradizione, allestito da San Francesco, il quale parlava agli uccelli e riusciva a stabilire una comunicazione anche con il feroce lupo, feroce per bisogno, più che per indole, come il Santo, con la sua capacità di comprensione profonda e di amore per tutte le creature, capì e rivelò agli uomini. 
Anche il racconto della Genesi (condiviso da quasi tutte le tradizioni religiose) sull'origine dell'uomo dal fango della terra in cui Dio spira il soffio di vita (rinvio i Lettori al mio vecchio libro Il sogno di Benino) vuole esprimere il concetto che l'uomo è un essere della Natura, che, in quanto dotato di spirito, è chiamato sì a dare il nome agli animali, ma non certo a farne lo scempio che ne sta attualmente facendo.
Ancora una volta, rivolgo il mio invito ai Lettori ad esprimere il loro parere su questi come sugli altri argomenti che appaiono sulla nostra rivista. Per conto mio, non mancherò di ritornare su questo tema davvero coinvolgente.
Italo Sarcone
19 marzo 2005