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Anno 4 - n.2 - Dicembre 2004
 
                                                       Fatti reali e "leggende metropolitane" 



       In occasione dello scorso Natale, su iniziativa della Regione Campania, è stata allestita una mostra di pastori napoletani nella propria sede di New York. L'esposizione è stata presentata con adeguati supporti informativi pubblicati sui più importanti quotidiani locali, ed è stata corredata pure da un ottimo catalogo illustrato a colori e da un altrettanto eccellente calendario, prodotti dall'editore napoletano Elio De Rosa (Cosmofilm). Il successo riscosso dalla mostra nella Città statunitense, ha prodotto un'eco che è rimbalzata in tutto il Paese, e più Stati hanno chiesto che l'iniziativa sia riproposta nelle loro città. Ovviamente il riverbero si è propagato anche oltre oceano e Napoli non ha mancato di raccoglierlo, in particolar modo è stato ascoltato dai presepologi locali che, non avendo avuto precedenti notizie in merito né tantomeno coinvolgimenti, si sono lasciati andare in concetture senza alcun senso e qualche illazione fuori luogo, distorcendo la realtà e generando un'altra delle cosiddette: "leggende metropolitane". Quindi, nel rispetto del lavoro e delle persone impegnate "seriamente" nelle attività presepiali, e per affermare quanto già scritto; si ritiene opportuno dare ulteriori e più circostanziate informazioni a riguardo.
Di seguito è riportato il testo contenuto nel catalogo della mostra americana dell'anno 2003. Lo scritto è stato ampliato per l'attuale occasione, restando, in ogni caso, nelle linee e nei contenuti della precedente trascrizione.


Pastori napoletani del primo settecento in mostra a New York


Da centocinquanta anni, e forse anche più, un consistente gruppo di figure presepiali napoletane, databili tra l'ultimo decennio del XVII e il primo ventennio del XVIII sec., ha ripreso vita e rivisto la luce; ma non è la solare luminosità di Napoli, dell'Italia o dell'Europa che lo ha abbagliato, è quella degli Stati Uniti d'America, è stata quella di New York. 
Ben trentaquattro ambasciatori, venuti da un tempo lontano, si sono "messi a nuovo", si son dati un contegno e insieme hanno attraversato l'Atlantico, per portare alla Grande Mela il saluto della loro terra, l'espressione d'amicizia e di pace dell'intera Regione Campania. Un gruppo, in verità, solo apparentemente eterogeneo, composto da individui di classi sociali diverse e di razze e gruppi etnici differenti: borghesi e popolani; gente di città, delle isole e delle campagne; magi persiani e schiavi, notabili e mandriani; e tanti asiatici, tanti negri, tanti mediorientali, comunque tutti napoletani, indiscriminatamente tutti figli di Partenope.
La città di New York, conosce da qualche tempo queste "comunità cosmopolite"; più volte, negli ultimi decenni, si sono recate colà; l'amore che le ha accolte è stato tale, che una delle "confraternite" ha finito con l'acquisire la cittadinanza americana e si è stabilita definitivamente tra le confortevoli e possenti mura del Metropolitan Museum.
Non è solamente la presentazione del gruppo, dopo tanto oblio, a costituire un evento; ma è anche la prima volta che si espongono pubblicamente figure di tale particolarità e tutte provenienti da un'unica collezione (alla mostra "Figure presepiali napoletane dal sec. XIV al XVIII" del 1970 nel Palazzo Reale di Napoli, tra i tanti altri pastori di varie epoche, erano presenti un numero limitato di esemplari dello stesso genere, ma di differenti tipologie e provenienti da più collezioni).
Tali figure (denominate popolarmente seicentoni), con il succedersi delle nuove istanze Rococò, furono messe da parte perché erano troppo grandi, ingombranti e poco congeniali alle mode del tempo, dove gli allestimenti di vaste e complesse scenografie presepiali di tipo prospettico, erano sempre più richiesti e messi in opera. Non essendo più adatti a popolare i nuovi presepi, questi pastori furono sostituiti da altri più piccoli dall'aspetto longilineo (figure terzine alte 35/40cm), che meglio s'integravano nei volumi e negli spazi relativamente grandi e circoscritti voluti dai gusti dell'epoca. Quindi, non trovando più corrispondenza e tantomeno nessun utilizzo nelle complesse e opulente scenografie dei nuovi tempi, i pastori grandi (dalle dimensioni di poco meno di due palmi a poco più di due palmi e mezzo), furono definitivamente messi da parte; l'incuria fece sì che degradassero e marcissero in ambienti umidi e polverosi, e che tarli e topi ne divorassero le parti di natura organica; ma furono anche deliberatamente sfasciati e distrutti, nel migliore dei casi ceduti a rivenducoli e rigattieri bavaresi che, spesso, non trovarono disdicevole spacciarli come manufatti realizzati nel proprio paese.
Gli esemplari in mostra sono alcuni degli archetipi, dei modelli, diciamo pure dei "genitori" dei rinomati pastori del pieno '700; di questi ne anticipano le varie tipologie e i caratteri (la vecchia col gozzo, la vecchia con la testa rasata, la monaca di casa, l'oste corpulento con il porro sulla guancia, il sorridente suonatore di mandolino, lo schiavo nero con il collare di ferro - che in seguito non sarà più riproposto -, la coppia di mori che regge la portantina della georgiana, il mandriano, la foritana con il caratteristico copricapo, ecc.); e in qualcuna di queste figure (le più prossime a noi), già si ravvisano, negli atteggiamenti e nelle espressioni, le caratteristiche peculiari della produzione del pieno settecento e dei primi decenni del secolo successivo; particolarità deducibili, tra le altre, dalle preordinate rotazioni e dalle inclinazioni delle teste sulle rispettive pettine, per dare il senso della comunicazione tra loro.
In genere queste figure erano originariamente vestite con parti recuperate da tessuti d'uso corrente, come quelli di cotone e di lino, ma anche da preziosi broccati, da damaschi e da serici lampassi, ricavati da ritagli e scarti di lavorazione; nonché da costumi gentilizi e da paramenti sacri usurati. L'ermesino di seta, sottile e stropicciabile, era impiegato per le vestiture delle figure sacre e degli angeli, e in parte per le vesti dei Magi e degli orientali di rango elevato; questo tipo di tessuto non era utilizzato per le altre tipologie di pastori. Un gruppo degli esemplari in mostra, indossa gli abiti così come ci sono pervenuti (di prima o di successiva vestitura, comunque d'epoca); per altre figure sono state necessarie delle integrazioni parziali di vestiario, e per altre ancora, è stato necessario rivestirle completamente; perché si è ritenuto utile recuperare le funzionalità d'uso ed i motivi d'essere (figure da sistemare sul presepe) delle opere stesse. L'impiego di stoffe in seta di forte timbro cromatico e di determinate tipologie di galloni dorati, per confezionare alcuni capi di vestiario mancanti, poco si collegano con i modi e con i tempi dell'originaria realizzazione di questi pastori, mentre troverebbero adeguata corrispondenza nelle figurine da presepe eseguite alcuni decenni più tardi. 
Tutte le figure in mostra sono composte dì manichini in stoppa (cascami di canapa campana) avvolta sul duttile tondino di ferro filato cotto; montano arti intagliati nel legno e le mani (degli esemplari di maggior pregio), hanno gestualità ben definite, secondo le tipologie e le posture dei caratteri rappresentati (i pastori della generazione successiva montano egualmente arti di legno, ma le posizioni delle mani sono comprese in pochi gesti standardizzati). 
Le teste sono intagliate nel legno (solo due sono in terracotta e altre due sono realizzate con la tecnica della tela plastica), ed hanno diverse particolarità: 
1) le teste solidali con l'intero busto, conservano la statica fissità di certe figure sacre (sono le più antiche)
2) le teste eseguite in blocco con le proprie pettine, hanno caratteri decisi ed espressivi, spesso hanno la bocca socchiusa (sono le più recenti)
3) le teste con le pettine separate, girano orizzontalmente mediante un prolungamento a tronco di cono che fuoriesce dalla base del collo e si adatta in un foro conico situato tra le spalle della pettina (teste a tappo) 
4) le teste con il foro praticato dal centro della base e lungo il collo, ruotano intorno al tondino di filo di ferro che fuoriesce dalle spalle di stoppa (teste ad innesto)
Gli occhi sono tutti di vetro, sia a semicalotta vitrea retrodipinta, sia in opalino bianco con pupille colorate e iridi nere di paste vitree fuse e applicate in successione (occhi a cipolla o a bulbo). 
Non esiste un canone proporzionale per queste figure, sembra piuttosto che siano state concepite con l'attenzione alla cruda verità di un'umanità non sempre fisicamente perfetta, che mette in evidenza e esalta le particolarità d'ogni singolo personaggio rappresentato. I volumi sono generalmente notevoli. Le teste, di forte presenza, hanno occhi con iridi più grandi della norma, e trasmettono una certa sensazione di bontà. Le mani dei personaggi di fatica si presentano più grandi del dovuto, così come sono accentuate certe singolarità, (è il caso degli avambracci gonfi dei due portatori, che ben rendono il senso dello sforzo al quale sono sottoposti). I colori usati per l'incarnato dei volti e delle parti nude, sono decisi e variegati; i vari toni del bruno, ora con dominanti rossastre, ora tendenti al ciano, si relazionano sempre al carattere dei personaggi rappresentati; non mancano a tutte le figure, gli enfatici tocchi di rosso cinabro sulle gote. Le dimensioni medie dei pastori (sottintesi come persone adulte), variano da 64 a 48cm; quelle dei giovani raggiungono i 40/44cm.
Il "restauro" delle figure presepiali presenti in mostra, è stato realizzato, con la sorveglianza della competente Soprintendenza, dalla Ditta Carlo Iacoletti di Napoli. L'aspetto eccessivamente brillante delle parti nude, rilevato subito dopo la rimessa a punto degli esemplari sottoposti ad interventi di ripristino estetico e visibile nelle fotografie del catalogo americano, a distanza di circa un anno si è attenuato, ed è decisamente rientrato nelle norme.
E' lecito dire che se in passato ci fosse stata maggior attenzione alla conservazione di questo tipo di opere, e non si fosse esclusivamente volto l'interesse alle figure terzine, non avremmo perduto parte della nostra memoria storica e del nostro genio. A tanta disattenzione non hanno mancato di dare il loro contributo le varie manomissioni, gli adattamenti, le sostituzioni e gli scambi di parti di figure; giustificati come interventi di recupero, voluti o avvenuti per un processo naturale di degrado. Altri eventi distruttivi si sono verificati nel tempo e si sono sommati ai precedenti, cioè: le calamità naturali e i disastri bellici; ma sono state soprattutto le dispersioni volontarie a dare il maggior contributo funesto al corpus di pastori, dovute sia ad episodi avvenuti per rozza ignoranza, sia per meschini interessi di mercato; che messi insieme alle altre negatività, hanno determinato la quasi totale distruzione di queste figure da presepe: "Quelle grandi", prodotte a Napoli tra la seconda metà del XVII e il primo trentennio del XVIII sec.
La stanca produzione successiva e le imitazioni stilistiche riferite alle figure del periodo anzidetto, sono altre storie.


L'esistenza dei pastori nella Chiesa di San Lorenzo Maggiore in Napoli

Fino al momento della stesura di questo scritto, non è possibile attestare che dei presepi composti con figure articolate, fossero allestiti nella Chiesa o in altri ambienti del Complesso monastico di San Lorenzo Maggiore prima dell'anno 1866, ne tantomeno durante il XVIII sec.. Comunque, se non è sostenibile affermare che già a quei tempi si provvedesse a tali costruzioni, per l'inesistenza o la non conoscenza di fonti storiche che ne certifichino gli avvenimenti; è probabile, rimettendosi alla ragione ed al buon senso, che il presepe (anche se ridotto all'essenziale), effettivamente si approntasse nelle ricorrenze natalizie; perché i frati francescani, fin dalla fondazione del loro Ordine, hanno dato particolare spicco alle celebrazioni della Nascita del Signore, sia perseverando nel ricordo della "singolare" Sacra rappresentazione-Messa di Natale voluta da San Francesco e officiata nelle campagne di Greccio la notte del 24 dicembre 1223; sia attestando "l'Avvento" attraverso le numerose raffigurazioni pittoriche, (così come lo concepì il Serafico, con la mangiatoia posta a terra e sul lato della mensa d'altare); sia come "episodio" illustrante il presepio delle origini (la Madre e il Bambino sotto la tettoia) opportunamente arricchito dalle figure di Giuseppe, dei due animali, degli angeli, ecc; e sia come illustrazione dei "momenti evangelici" riferiti alla nascita di Gesù. Tra le tante pitture esistenti sulle pareti interne delle chiese dell'Ordine, pervenute a noi in uno stato di conservazione più o meno buono; si lascia ricordare per la sua "miracolosa" essenzialità, il superstite frammento d'affresco della scena della Natività, che insiste isolato lì in alto, sulle mura interne della chiesa napoletana di San Lorenzo Maggiore.
Ma, nella totale assenza di documenti e cronache che possano dare credito alla messa in opera di presepi del genere nella Chiesa francescana, si profila il conforto dell'esigua, ma decisiva asserzione del Perrone:
"Nella Chiesa di San Lorenzo facevasi anche il Presepe, d'ordinario in una cappella a sinistra entrando dalla porta maggiore. Verso gli ultimi anni si costruì in mezzo alla Chiesa; e campeggiava la banda col seguito dei Magi."
Elencando i presepi che si costruivano nelle chiese di Napoli, Antonio Perrone ci ha fatto pervenire dal lontano 1896 - riportandola a pag. 27 del suo volumetto: Cenni storici sul Presepe - questa preziosa quanto rara testimonianza, avvalorante la tesi che anche in San Lorenzo c'era un nucleo di pastori tanto cospicuo, da permettere l'allestimento di un presepe. Quando il Perrone scrive: "… campeggiava la banda col seguito dei Magi.", lascia intendere che le figure adatte a formare questa scena, erano numerose, (quindi, non è un caso costatare che la quantità di personaggi impiegabili nel corteo è numericamente alta, rispetto alla restante parte delle figure giunte a noi), anche la qualità degli esemplari doveva considerarla buona; poiché nello scritto non è riportato alcun commento negativo a tal proposito; altrimenti l'autore, con la sua nota sentenziosità, non avrebbe esitato ad esprimerlo (ammesso che avesse avuto conoscenza diretta delle figure o ritenute attendibili e degne di fiducia le notizie a lui pervenute).
La sistematica ricognizione nei depositi di San Lorenzo è stata effettuata da chi scrive nel 1998, e si è conclusa con una relazione sulla consistenza e lo stato fisico dei manufatti presi in esame, con un inventario delle figure e degli accessori, e con una successiva campagna fotografica conoscitiva corredata da una schedatura semplificata. Queste iniziative, volute dall'acume e dalla determinazione del rev. Bernardino Fiore, Padre guardiano e responsabile del Complesso Monumentale, hanno consentito di mettere in luce due distinti gruppi di figure a corpi mobili per presepi, più un fondo di plastiche figure (dette della 'pietà popolare'), rappresentanti santi, episodi e personaggi tratti dai Vangeli, in parte eseguite con la stessa tecnica costruttiva dei pastori, e in parte realizzate interamente in legno, in metallo, in cartapesta o in terracotta, quasi tutte opportunamente policromate e protette da vitree campane.
Le figure presepiali ritrovate, furono realizzate in due momenti decisamente diversi. Il primo nucleo di esemplari (quello che in buona parte è in mostra), fu prodotto originariamente e nella quasi totalità, nel primo ventennio del XVIII sec. (alcuni sono riferibili all'ultimo decennio del XVII sec.). Mentre il secondo aggruppamento, numeroso, eterogeneo e di svariate qualità formali, fu realizzato tra la fine del XVIII e i primi anni del XX sec.
Se i pastori del primo gruppo, insieme con i tanti altri non più disponibili e quindi perduti, sono stati fin dalle loro origini (e non necessariamente), conservati in San Lorenzo Maggiore, allora non è azzardato supporre che il presepe con figure articolate fosse allestito sin dagli inizi e durante il XVIII sec. In seguito, quando i pastori iniziarono ad apparire eccessivamente usurati, e i tempi e le mode cambiarono radicalmente; i presepi, anno dopo anno, pur continuando ad essere allestiti, si presentavano sempre più diversi dai precedenti; essendo queste nuove, delle costruzioni che potevano ospitare figure dalle dimensioni contenute (nel presente caso, quelle del secondo aggruppamento con l'aggiunta di pochi esemplari recuperati tra i più piccoli di quelli preesistenti). Forse, proprio questo "metterli da parte" in un remoto angolo della Grande fabbrica, e un ipotetico spostamento di "beni da salvare" durante il forzato andar via dei frati dal convento di San Lorenzo, ha consentito a questi pastori di giungere fino a noi.
E' ipotizzabile che negli anni compresi tra il 1866 (anno della soppressione del Monastero e l'allontanamento dei frati) e il 1937/1942 (anni della riammissione e del relativo atto giuridico per il definitivo rientro dei frati nel Complesso monastico); il presepe, concepito come gran macchina scenica, non sia stato più allestito - non è da trascurare che in quest'intervallo di tempo, le funzioni religiose si svolgevano con regolarità, certamente non in Chiesa, perché in condizioni rovinose e ridotta a deposito, ma nella Cappella di Sant'Antonio prospiciente il chiostrino del Complesso -.
La notizia riportata dal Perrone nei suoi Cenni storici, può essere assunta ancora come una testimonianza attendibile, infatti, titolando al passato, fa riferimento a tempi antecedenti il 1866; quindi, almeno a trent'anni prima della pubblicazione dell'Opuscoletto'.
Conoscere l'età di Antonio Perrone al tempo della stesura delle sue note, e sapere se avesse avuto diretta conoscenza dei presepi in San Lorenzo, importa poco e non conduce a risposte alternative; perché, se effettivamente li avesse visti, non si sarebbe riferito di certo a quelli della seconda generazione; il "… campeggia il seguito dei Magi" risulterebbe essere un dire alquanto inappropriato, poiché le dimensioni, la qualità e la quantità di pastori necessari alla composizione di quelle scene, non trovano riscontri possibili nel gruppo delle altre figure (le terzine e quelle più piccole) giunto a noi. Personalmente penso che il Perrone o effettivamente ne serbasse un personale ricordo (intendo: di allestimenti completi di figure grandi o dei singoli pastori); oppure: pur non essendo diretto testimone di tali situazioni , ne avesse, comunque, notizie sicure e attendibili (forse proprio dai suoi familiari, tutti grandi appassionati del presepe e raffinati collezionisti di pastori). Nell'uno o nell'altro caso, l'opportunità di riportare "il ricordo" nelle note, rende evidente una verità incontrovertibile che, non a caso, è sostenuta dalla specifica realtà di ogni superstite pastore grande del fondo.
Esiste presso l'Archivio di Stato di Napoli un ciclopico, quanto inesplorato carteggio riguardante le vicende ordinarie, straordinarie e storiche dell'Ordine e della propria Cittadella monastica, ci auguriamo che delle ricerche in merito siano condotte e contribuiscano a risolvere il dilemma per accertare una storica verità: da quanto tempo questi pastori si trovano presso i frati Minori Conventuali di San Lorenzo Maggiore? Per la cronaca: sono trascorsi circa quarantaquattro anni da quando nel Convento mi fu mostrato un armadio che conteneva tante figurine per il presepe, piccole e grandi, perlopiù in cattivo stato di conservazione, stavano distese l'una accanto all'altra e in più file sovrapposte su tutti i ripiani del vecchio mobile.
Comunque la questione possa essere intesa, la realtà dei fatti è quella che conta. I Frati Minori Conventuali, nel loro succedersi, hanno custodito e tutelato - tra le tante opere d'arte, reperti storici e interessanti manufatti - una cospicua raccolta di figure presepiali; che, alla fin fine, pur se malconcia e serialmente frammentata, è giunta fino a noi. Non dobbiamo dimenticare che i tempi testimoniati da questi pastori, sono stati caratterizzati da soprusi su ordini religiosi e confische di beni, da dispersioni e incurie, da scellerati interventi e alienazioni; ma, nonostante siano stati coinvolti in tutte queste situazioni negative, ben una cinquantina di esemplari non sono andati distrutti. Le grandi raccolte pubbliche, come quella napoletana del Museo di San Martino e quella del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, conservano mediamente ciascuna un migliaio di pastori napoletani databili tra il settecento e i primi decenni dell'ottocento; invece, di quelli particolari (i seicentoni), ne riescono a mettere insieme non più di venti esemplari che, tra l'altro, non sono nemmeno esposti al pubblico.
La realtà di questa raccolta di figure presepiali - memoria del nostro passato - c'induce, o meglio, ci obbliga ad attuarne il totale recupero; perché ripristinando, salvaguardando e valorizzando questo patrimonio (quantificato complessivamente in circa 250 numeri d'inventario), non solo ci si avvia a legittimarne e riconoscerne il valore storico; ma è pur sempre un altro tassello da sistemare nella composizione di quell'auspicabile "offerta" d'interessanti e molteplici testimonianze della nostra cultura.
I pastori saranno sistemati in un'apposita sala del Museo di San Lorenzo Maggiore, nell'omonimo Complesso Monumentale di Napoli. 

Natale 2004 - Giuseppe Gaeta


 

 

Giuseppe Gaeta