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Anno 4 - n.2 - Dicembre 2004
 

DIALOGO CON I LETTORI

 

Diamo delle brevi risposte a domande che ci sono state rivolte da alcuni Lettori; nel farlo, ci scusiamo se, per la lentezza con cui abbiamo pubblicato la rivista (quest’anno, sono usciti purtroppo solo due numeri), qualche risposta giunge un po’ tardiva; per lo meno per questo Natale. Non possiamo e non vogliamo nascondere che le domande rivolteci solleticano il nostro orgoglio e la nostra vanità, poiché esse dimostrano che ormai i nostri affezionati Lettori ci credono delle vere autorità nei più svariati campi del sapere e della vita; non è così, purtroppo, o forse per fortuna, perché se sapessimo già tutto, non avremmo più il gusto per la ricerca, senza il quale per noi l’esistenza sarebbe incolore e insapore. Qualcuno ci chiede persino di indicargli dove si può mangiare una buona pizza; non voglio fare torto a nessuno, perché, a Napoli, la pizza è buona in tutte le pizzerie. Devo però dire che le pizze più gustose le ho assaggiate in certi locali che non fanno spreco di lusso, con i tavolini di marmo e i tovaglioli di carta, e dove, oltretutto, non si paga neppure il servizio. Ma si tratta di gusti personali. Quando, tra una visita presepiale e l’altra, il vostro stomaco comincia a protestare con sordi brontolii, infilatevi nella prima pizzeria che incontrate: è difficile che restiate delusi. 
Comunque, la qualità e la quantità delle vostre domande ci rendono sempre più consapevoli della vastità e della profondità dell’argomento “presepe”, che si apre su tanti aspetti della vita, da interessare veramente un gran numero di discipline, in modo che non è possibile ad un solo studioso padroneggiare tutto l’imens patrimonio di dati e di idee. Ed allora rivolgiamo agli studiosi che ci seguono l’appello a intervenire con le loro conoscenze e aiutarci a rispondere alle esigenze e alle curiosità intellettuali degli estimatori del presepe, che, tra modernità e tradizione, non corre certo il rischio di vedere diminuio il suo fascino. 
Simona C., di Latina, vorrebbe “ricevere immagini riguardanti i costumi dei personaggi del presepe, a scopo didattico”. Possiamo accontentarla solo in parte, rinviandola ai vari numeri della rivista, nei quali potrà trovare qualcosa, anche se non è molto: in realtà, non possediamo un vero e proprio “archivio” di immagini, a parte quelle che ognuno di noi, collaboratori della rivista, ha raccolto nel corso della sua vita. Per la maggior parte, quello che trovate sulle nostre pagine è frutto delle nostre costanti personali ricerche, con le quali vi sottoponiamo del materiale nuovo e, per quanto possibile, originale; le vostre domande hanno anche l’importantissima funzione di indicare nuove strade e nuovi filoni alla nostra ricerca. Per quanto riguarda l’argomento propostoci da Simona (credo che sia un’insegnante e quindi una mia collega), dobbiamo ricordare che ogni regione e addirittura ogni paese hanno sviluppato la loro particolare forma di presepe, i cui personaggi, quindi, vestono il costume tradizionale della zona. 
A questo proposito, la domenica scorsa, dodici dicembre, ci siamo recati ad Atina, in provincia di Frosinone, un po’ oltre Cassino, sulla via per Sora, alla ricerca di una bottega artigiana di cui avevamo ricevuto notizia; in realtà, la notizia era frutto di un equivoco, ma la visita di una cittadina pulita, tranquilla, fatta a misura d’uomo, come si suol dire, con testimonianze storiche ed archeologiche interessanti, ci ripagò della piccola delusione. In effetti, l’equivoco ci fu chiarito dal Parroco della Chiesa madre (l’antica Cattedrale) dell’Assunta, Mons. Domenico De Simone (abbiamo ricavato il suo nome da una pubblicazione che egli gentilmente ci mise a disposizione). Il sacerdote, con squisito garbo, ci fornì alcune preziose indicazioni sulla cittadina, sul restauro della Chiesa, sul primo vescovo e patrono di Atina, San Marco Galileo, e ci spiegò che, il precedente Natale, era stato organizzato un presepe ispirato al San Pietro di Roma e all’abbazia di Montecassino; i personaggi, tra cui dei monaci benedettini, erano stati ottenuti con dei “pastori” acquistati a Napoli, ma rivestiti con i costumi tradizionali del luogo. Alcuni pezzi erano ancora esposti nella sede della “Pro loco”, dove, attraverso i vetri, ho potuto fotografarli (ringrazio il signore di Atina che mi ha permesso di ritrarre suo figlio incollato al vetro: un presepe non è mai tanto vivo come quando lo guarda un bimbo). 
Cogliamo l’occasione per ricordare al Parroco dell’Assunta la mezza promessa che gli abbiamo quasi carpita di inviarci per il numero di Gennaio un articolo con le immagini del Presepe di Atina.
La collega Cacciotti potrebbe cominciare quindi il suo lavoro didattico (del quale le saremmo grati se ci inviasse in seguito notizie) proprio da queste immagini e da alcuni articoli della rivista, a firma mia, di Mons. Franco Strazzullo e di Umberto Grillo. 
Piuttosto sproveduti ci troviamo rispetto al “personaggio napoletano detto il massese ovvero venditore di prodotti caseari, nel presepe antico”, sul quale ci chiede notizie Antonella P. di Napoli; le promettiamo di avviare delle ricerche e, nel frattempo, rivolgiamo la domanda ai nostri Lettori, se qualcuno è in grado di fornire notizie all’amica Antonella.
Davide D. di Bitritto (Bari) ci chiede informazioni sull’arte presepiale napoletana, ma, perché possiamo soddisfarlo, dovrebbe circoscrivere l’argomento; infatti, tutto il nostro sito, e non solo la rivista, parla dell’arte presepiale napoletana in generale. Se desidera approfondimenti su qualche aspetto particolare, non ha che da scriverci ancora e saremo ben lieti di rispondere alle curiosità intellettuali del nostro Lettore.
Rimandiamo invece Stefano M. di Pontedera (Pisa) al mio articolo dell’anno scorso in cui davo ai Lettori “Suggerimenti presepiali” per costruire un presepe con poca spesa: il materiale fondamentale è appunto la carta di giornale. Se vuole notizie tecniche particolari più precise, deve scriverci ancora: potremo fornirgli altri suggerimenti per il presepe dell’anno prossimo.
La mia ex allieva Maddalena D., di Quarto (Napoli), memore del fatto che l’attività con cui mi guadagno la zuppa quotidiana è l’insegnamento del Latino e del Greco in un Liceo, mi chiede se l’amore per la famiglia, che è al centro della rappresentazione presepiale, si può rinvenire anche nei testi classici. La risposta non può non essere informata alle convinzioni e alle interpretazioni personali; sulla base delle mia quasi cinquantennale lettura dei classici, non mi sembra che si possa parlare per l’antichità classica di un vero amore per la famiglia, che presuppone il senso di responsabilità di ogni uomo verso ogni altro uomo, in nome della universale fratellanza (il contrario dell’homo homini lupus di baconiana memoria). Ora, questa sensibilità si è sviluppata con il Cristianesimo, il quale, secondo una mia inveterata convinzione, è l’unica vera rivoluzione che la storia conosca, perché ha mutato l’uomo dall’interno. L’inadeguadezza irrimediabile che l’uomo avverte nei confronti di Dio (che, secondo la concezione ebraico-cristiana, è assoluta trascendenza) fa sì che egli sia ugualmente responsabile nei confronti di tutti gli uomini, che sono il “prossimo”: tanto più, poi, verso i familiari, che sono, se si può dire, il prossimo più immediato. Per l’antichità classica non si esclude l’affetto, la tenerezza verso la moglie, o il marito, e verso i figli, ma più che di amore si può parlare di orgoglio per la stirpe, preoccupazione per la discendenza e per la sopravvivenza del nome. Non riesco a trovare un sentimento di vero amore. Un padre greco o romano può anche rifiutarsi di riconoscere come figlio l’essere da lui generato; il cristiano, invece, si sente padre se appena un bimbo mostra di avere bisogno di lui. Insomma, Ettore (libro VI dell’Iliade) è bello, ma io ho sempre preferito San Giuseppe. L’argomento è complesso e, se vuoi, potremo riprenderlo, soprattutto se altri Lettori mostreranno di appprezzarlo, indirizzandomi le loro opinioni, per appoggiare o per criticare e magari respingere le mie argomentazioni. Per il momento, vorrei citare un ricordo che mi è sempre stato caro, tratto dal film I cinquanta giorni di Pechino; in una terribile situazione di guerra, il protagonista, impersonato da Charlton Heaston, non ha il coraggio di prendere con sé una bambina, rimasta orfana, figlia di un commilitone e di una cinese; il prete della missione lo pone di fronte alle proprie responsabilità, con questa bella frase: ”Ogni adulto è padre per ogni bambino”. Ho risposto alla domanda che mi hai posto così come ho saputo in questo momento, più formulando un’ipotesi che stabilendo una tesi; ma la domanda mi obbliga anche ad una rilettura dei miei amati classici per verificare o falsificare questa mia ipotesi di lavoro. A risentirci, dunque.
Italo Sarcone

Italo Sarcone