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Anno3 - n.7 - Dicembre 2003
 

APPUNTI SUL SIMBOLO

 

Fu lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung a mettere in rilievo il bisogno di immagini, dalle quali possa essere fecondata una vita religiosa armonica e profonda. Immagini tali da rispondere a quest’esigenza non vengono però prodotte in tutte le epoche e da tutte le culture; molte volte non è nemmeno questione di bellezza e raffinatezza artistica: da un punto di vista religioso, il miglior Tiziano non può competere con la più povera delle icone della Chiesa orientale o con una delle Madonne in trono affrescate sulle pareti delle chiese romaniche. Queste ultime hanno, infatti, sullo spettatore un impatto emotivo che i capolavori dell’arte occidentale dal Rinascimento in poi sono ben lontani dall’avere.
Junghianamente, l’immagine sacra deve parlare con immediatezza allo spirito, attraverso i segni esteriori. Non a caso ho usato la parola “segno”, che per alcuni coincide con la parola “simbolo”, mentre per altri se ne diversifica; in questo secondo caso, si può ritenere più pregnante il termine “segno”, o invece il termine “simbolo”. Per la Chiesa Cattolica, ad esempio, è il termine segno” ad essere semanticamente più forte: i Sacramenti sono “segni efficaci della Grazia”, cioè operano effettivamente la salvezza; per lo psicologo Jung, è invece il “simbolo” a significar di più, mentre il “segno” ha la funzione di un mero richiamo.

In ogni caso, il “segno” e il “simbolo” sono realtà visibili, autonome nella propria esistenza, ma che, nonostante, o proprio in forza di, questa loro autonomia, possono rinviare ad una realtà superiore, invisibile.
Le realtà superiori sono, infatti, difficilmente accessibili al linguaggio ordinario, discorsivo, che ben presto si accorge di essere ben povera cosa, quando si prova a dire l’ineffabile: Dante, il maestro della lingua, il “miglior fabbro del parlar materno” (secondo la definizione che egli stesso diede di Arnaut Daniel), ha sentito questa enorme difficoltà, nel momento in cui si accingeva a narrare agli uomini la sua esperienza del Paradiso: trasumanar significar per verba non si potria ... e allora fa ricorso alle immagini simboliche, quale, in questo caso, il mito di Glauco, che, mangiando un’alga, divenne immortale, accolto fra gli dei del mare: però l’essemplo basti a chi esperienza grazia serba (Paradiso, Canto I).
La principale legge del simbolismo è che nel dato naturale traspaia la trascendenza; che cioè di fronte ad una immagine, colui che guarda sappia (o meglio senta) che ciò che sta guardando significa più di quanto l’immagine in sé rappresenti: da qui la straordinaria fioritura, nelle chiese medievali, di sculture che ad occhi moderni appaiono bizzarre o semplicemente decorative (“hanno funzione ornamentale”, è il consueto commento dei critici), mentre per i contemporanei esse valevano più di mille parole.
Propongo alla riflessione dei lettori alcune immagini che ho raccolto in giro per le città dell’Italia, nel corso dei miei vagabondaggi estivi, rielaborandole, una volta tornato a casa.

La prima è tratta dalla decorazione del portale della chiesa di santa Croce in Gerusalemme a Bologna: il leone che aggredisce un uomo, mentre calca con una zampa la testa senza vita di un altro, non può non richiamare alla mente del fedele consapevole il monito dell’Epistola petrina: “il vostro avversario, il diavoo, vi circuisce, cercando chi divorare”. La seconda immagine, tratta dalla chiesa dei Santi Agricola e Vitale, ancora a Bologna, mette uno accanto all’altro un Angelo, una Sirena bifida, un uccello; strano accostamento, se non potessimo pensare a tre diverse modalità del canto, musica celestiale, oppure seduzione di una voce ingannevole, o anche semplice suono della natura, che il fedele deve imparare a riconoscere.

 


Da Verona provengono invece le due immagini successive, con il leone androprosopo (cioè dal volto d’uomo) e l’uomo divorato dal drago, segno dell’abisso primordiale, del nulla da cui l’uomo è uscito e a cui dovrà tornare, se la Grazia di Dio non lo affranchi dal suo destino naturale e non lo sollevi alla gloria del cielo.

Ma la suggestione maggiore la trassi da questa splendida immagine dell’Arcangelo Michele, sul portale della chiesa a lui dedicata a Bevagna. La velocità del volo angelico è indicata dalla posizione orizzontale e dal rotolo che si svolge al vento, lasciando leggere le attribuzioni del Principe degli eserciti celesti: auxilium miseris, [per]fectis gaudia pr(a)esto, pr(a)ecepto D(o)m(i)n(i) librum pro munere gesto (do aiuto agli infelici, gioia ai perfetti: come mio compito, per ordine del Signore, porto il libro). La nobiltà del volto, la fermezza dello sguardo, che vuole indicare la decisa volontà di obbedire all’ordine dell’Altissimo, mostrano che l’artefice sapeva che cos’è la santità, sapeva chi è un arcangelo, infine sapeva che cos’è arte.

(continua)

 
Italo Sarcone