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Anno3 - n.5 - Luglio 2003
 

LA NATIVITA' DI MONTANO D'AREZZO

CHIESA DI SAN LORENZO MAGGIORE (III PARTE)

 

Nel 1266 Carlo I conquista il regno di Sicilia e Napoli diventa centro di ricezione e fusione di tendenze e prodotti artistici nonché chiaramente di artisti. Si assiste pertanto al fenomeno dell’importazione di artisti: Montano d’Arezzo nel Duomo e in S. Lorenzo Maggiore, Pietro Cavallini in Duomo e in S. Domenico Maggiore, Giotto in S. Chiara e nella Cappella Palatina, Tino da Camaino in S. Maria Donnaregina.

I re angioini furono soprattutto fondatori di chiese e conventi, e ciò contribuì a cambiare sostanzialmente il volto della città, stimolando al tempo stesso la rinascita artistica e culturale. L’edificazione di queste fabbriche religiose fu favorita da un lato dal consolidamento delle attività economiche nella città, dall’altro dai privilegi che la corte francese concesse agli ordini religiosi, e in particolare a quelli mendicanti.

La chiesa e il convento di S. Lorenzo Maggiore furono completamente rifatti al tempo di Carlo I, tra il 1270 e il 1275, nel luogo in cui si erano avute precedentemente prima una basilica paleocristiana e successivamente una chiesa appartenuta al Capitolo aversano e donata da questo nel 1224 ai Francescani.

In S. Lorenzo nel braccio destro, sui muri laterali di una cappella, vi sono resti di affreschi trecenteschi che rappresentano una Natività e una Dormitio Virginis e che si rifanno alla pittura giottesca e cavalliniana, già riscontrata in analoghi affreschi realizzati probabilmente dallo stesso pittore nella cappella Minutolo nel Duomo.

Gli affreschi di S. Lorenzo facevano già parte di un ciclo con storie mariane in gran parte distrutto per la successiva edificazione di altari e monumenti funerari. Ne fu autore verso il 1300 Montano d’Arezzo, interessante pittore attivo nel Duomo di Napoli ed ancora prima a Roma e già in grado di esprimere riflessi della più antica attività di Giotto e del romano Pietro Cavallini. È significativo che questo primo avvicinamento alla tradizione pittorica umbro-toscana coincida, sia cronologicamente che nella topografia della chiesa, con la fase dell’emancipazione dell’edificio dalle esperienze architettoniche d’Oltralpe. S. Lorenzo mostra infatti assai bene il passaggio dall’architettura di Carlo I, aulica e nettamente francese, a quella di Carlo II, in stretto rapporto con opere già compiute altrove dagli ordini mendicanti, manifestando la complessità della produzione del secolo angioino, in cui convergono apporti franco-meridionali, nord-iberici e della fase romanica e sveva nel Mezzogiorno d’Italia.

In questi affreschi la Vergine è sdraiata con accanto il Bambino Gesù in fasce, secondo un motivo iconografico antico ma che tuttavia non ha avuto grande diffusione e che fu soppiantato dalle raffigurazioni, duecentesche e trecentesche, della Madonna in trono. L’affresco si rivela ancora arcaico nella costruzione dello spazio, nella mancanza di prospettiva, di profondità e nella piattezza di talune figure ma già si possono cogliere in esso i caratteri dell’innovativa pittura umbro-toscana.

Montano d’Arezzo avrebbe dipinto precedentemente la cappella Minutolo nel Duomo di Napoli. Questa fu voluta da Filippo Minutolo, consigliere di Carlo I e suo ambasciatore a Firenze dal 1273, e dal 1283 arcivescovo di Napoli, e gli affreschi in essa presenti più di ogni altra opera documentano l’avvenuta apertura a Napoli ai fatti assisiati.

 Tali affreschi spettano dunque ad un maestro formatosi ad Assisi verso il 1280, quando la decorazione pittorica della basilica superiore passava dalle «Storie di san Pietro» nel transetto alle prime «Storie di Cristo» nella seconda campata, e a fianco di Cimabue si faceva strada il primo dei suoi allievi moderni, il cosiddetto «Maestro della Cattura». Legato soprattutto a questi, il pittore della cappella Minutolo ovvero Montano d’Arezzo risulta dai documenti in stretti rapporti con la più stretta cerchia familiare di Carlo II e lo fanno apparire il maestro più importante che lavorasse a Napoli fra gli ultimi decenni del Duecento e il primo del Trecento.

 Negli affreschi mariani del transetto di S. Lorenzo poi, la cultura del maestro mostra d’essersi ampliata in un tempestivo e impegnato aggiornamento sulle più acute esperienze proto-giottesche, non senza collusioni con le opere antiche di Pietro Cavallini, nelle quali proprio quest’ultimo si era mostrato tributario di Assisi, sia nei riguardi del «Maestro della Cattura» che del primo Giotto. Tutto questo accadeva ben prima che Pietro Cavallini scendesse a Napoli, e in autonomia assoluta dalla cultura cavalliniana specifica; segnando un momento indipendente e straordinariamente meritorio della storia artistica del Regno. L’attività di Montano d’Arezzo si concluse poco dopo il 1311, quando il nuovo re Roberto lo ammetteva, come più tardi il solo Giotto, tra i suoi «familiari».

 

Tiziana Assante