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Anno3 - n.4 - Maggio 2003

 

 

RICORDI DI VITA ARTIGIANA

 

 

REX Peregrinus

Sai tu, amico Lettore, riconoscere la regalità nel pellegrino che passa?

Mio padre, Vincenzo Sarcone, nacque a Calabritto, il 26 ottobre dell'anno 1908.
Calabritto è una cittadina dell'alta valle del Sele, che, nella storia della regione, ebbe una notevole importanza; non fu piccolo il suo fascino, se meritò il titolo di "gemma dell'Irpinia". 

Dominata dal monte Altillo, venera la Vergine Maria, sotto il titolo di Madonna della Neve, che sulla cima del monte ha il suo santuario. Suo patrono è San Giuseppe, il falegname sposo di Maria e padre di Gesù, secondo lo spirito: custode dell’intemerata verginità dell'una e della preziosa infanzia dell'altro. A poca distanza, il paese di Senerchia venera come suo protettore l'Arcangelo Michele, il princeps militiae coelestis, che respinse l'empio assalto di Lucifero, abbattendolo con il dardo di una domanda: "Chi è come Dio?"; e per gli uomini dunque questo fu il suo nome per sempre. 

 

 

 Questo vasto complesso di immagini spirituali mio padre, nella bottega artigiana di via San Gregorio Armeno, al numero 50, me lo trasmetteva con le parole, mentre lavorava con le sue abili mani a trasfonderle nella materia perché divenissero visibili per gli altri uomini. Apprendevo così i segreti dell'arte, che erano delicate operazioni manuali, e nello stesso tempo sublimi rivelazioni dello spirito.

L'otto di maggio del 1954, a quarantasei anni, egli lasciò la sua forma terrena.
No, amico Lettore, non chiedermi di scrivere la formula consueta "egli morí", che per me risuona insensata ed assurda; se mi hai letto fin qui con piacere, in questi tre anni che annoto per te le mie divagazioni, dovresti averlo capito che io non credo alla morte come annientamento totale, anche se, come chiunque altro, avverto tutto lo strazio della dilacerazione quando uno dei miei simili abbandona questa vita; anche Gesú pianse sulla tomba di Lazzaro, anche Maria pianse sotto la croce del Figlio.

Forse tu non condividi il linguaggio che, unico, io posso adoperare in questo caso: perché fu il linguaggio stesso di mio padre, nella cui vita arte e fede coincidevano: fede è sustanzia di cose sperate ed argumento de le non parventi. Quando, leggendo la Divina Commedia, incontrai questi versi, essi mi furono immediatamente chiari.

Statua della Madonna della Neve

che si venera nel santuario del monte Altillo

Terracotta e cartapesta policroma

 

 

Opera del tardo Settecento, restaurata da Vincenzo Sarcone (prima metà del XX secolo)

 

Alcuni anni fa ritornai nel paese di origine di mio padre e di mia madre (io sono nato, unico di tutta la famiglia, a Napoli); gli anziani, quelli che nella loro gioventú avevano conosciuto mio padre, quando seppero che ero il figlio del “loro” scultore, mi si fecero intorno: volevano sapere se anch'io avessi seguito la strada dell'arte; no, purtroppo (confessai con amarezza, con un po' di vergogna, quasi), avevo preso tutt'altra strada. Furono molto delicati nel celare la loro delusione; ed uno di essi mi raccontò di quella volta, tanti e tanti anni prima, quando mio padre, ancora giovane, aveva terminato la statua di Gesú deposto dalla croce: il Venerdí Santo, aveva seguito la processione a piedi scalzi, dietro il Cristo, non piú suo, ora che la benedizione del Sacerdote lo aveva sottratto allo spazio quotidiano e consegnato alla sfera del sacro.
E, come ti dicevo, lasciò questa terra l'otto di maggio, in un giorno e in un mese consacrati alla Vergine.
Un’altra cosa devo confessare: quando ho dovuto notare certe coincidenze, ho sempre avuto un po' di timore che la chiarità dell'intelletto potesse essere offuscata dalle brume della suggestione; eppure, d'altro canto, è talvolta difficile sottrarsi all'impressione che gli accadimenti ci vogliano dire qualcosa; e, forse, rifiutarsi alle seduzioni provenienti da quella zona oscura che chiamiamo sentimento non è del tutto giusto e, magari, neppure ragionevole. Fu per sfuggire a questo strappo tra sentimento e ragione che Jung coniò l'espressione "coincidenze significative".
E poi, mi chiedo come potrei usare l'espressione "egli morí", se, nel breve spazio degli otto anni che sono stato accanto a lui, un tal patrimonio ideale ne ho raccolto che, in tanti anni di vita, di letture, di viaggi, di riflessioni e scorribande nella cultura, non sono ancora riuscito a rielaborarlo.

 

Statua di San Michele Arcangelo che si conserva nella Chiesa Madre di Calabritto (Avellino)

 

 

 

 

 

Terracotta e cartapesta policroma

Opera di Vincenzo Sarcone

 

 

 

Spesso a quel patrimonio attingo, nello scrivere queste note.
Non era ricca di beni materiali, la famiglia di mio nonno, tutt'altro; era forse una delle piú povere del paese; con sei figli maschi e una femminuccia, nonno Alfonso aveva il suo daffare per tirarli sú alla meglio. Tra i racconti che ho udito narrare uno ce n'è, che fa capire la povertà di beni di fortuna e la ricchezza dei sentimenti di un’epoca. Una ricca famiglia si era offerta di adottare uno dei bambini, in cambio di una generosa somma di denaro. Sarebbe stata la fortuna del bambino adottato e, insieme, un po' di benessere per tutti gli altri; la tentazione per nonno Alfonso, se pur vi fu, durò ben poco: guardò i figli, li considerò uno per uno, ed ognuno accarezzò: questa è la femminuccia, manco a parlarne; questo mi sta sempre attaccato alla falda della giacca: non si può; quest'altro poi mi chiama "papà" continuamente, e cosí per tutti e sette. 

Alla fine fu deciso che dove mangiavano in sei potevano mangiare anche in sette, o anche digiunare in sette, com'era il caso più frequente. Ma si restava insieme. Fin da piccolo ho saputo di dovere essere grato (tutti noi suoi discendenti siamo grati) a nonno Alfonso per la sua scelta onesta e coraggiosa.

Questo racconto, che si pone come prosecuzione naturale del mio articolo apparso sul numero scorso, è stato scritto il primo di maggio, festa di san Giuseppe lavoratore.

(continua)

 
Italo Sarcone